PAOLO BIELLI “Il ring come condizione del corpo e della memoria” Rosanna Ruscio

CRITICA - settembre 27, 2012 - 0 Comments

 

Nell’ultima produzione di Paolo Bielli possiamo distinguere due tipi di processi immaginativi : quello che parte dall’osservazione diretta del mondo reale e arriva alla trasfigurazione visiva ed onirica, e quella che parte dalla visione figurativa e arriva alla interiorizzazione dell’esperienza sensibile. Il ring come luogo di combattimento è indubbiamente una metafora alla sfida quotidiana, della lotta per la vita, quella dell’ uomo ed artista che ambisce nella sfida di essere agile, ma che nel contempo sostanzia un’altra ansietà, quella di riuscire non solo contro l’avversario, ma anche contro il proprio io sconvolto e diviso. Proprio questa tensione viscerale è quella che traspare nelle opere di Paolo Bielli, dove ritroviamo gli effetti talvolta stranianti del dilatarsi percettivo di accostamenti e relazioni, sospesi tra la cupezza del dolore e l’eccitazione dello svelamento: le immagini dei pugili con quelle delle loro mogli, la nudità maschile con la civetteria femminile, la plasticità dei corpi con la bidimensionalità dei ritratti.

Una serietà edulcorata con punte di malinconia caratterizza la sua visione. Prima ancora di avventurarsi nell’osservazione del corpo, Paolo Bielli sapeva che “conoscere è inserire alcunché nel reale, è, quindi, deformare il reale ”1. Da ciò il suo modo di raffigurare deformante ed incompleto: porzioni di corpi dalla muscolatura riposata e volti come maschere sospese; opere, essenziali nella composizione, eppure così ricche di connotazioni e colorature diversificate e immanenti: lo scorpione, i fiori, le farfalle. Condividendo una sensibilità diramata da James J.Ballard a David Cronenberg, da Francis Bacon ai performers più estremi, Paolo Bielli cede la parola al corpo, all’organismo inteso come un montaggio incompiuto di ricordi e confessioni. Ogni figura, al di là dal titolo che l’identifica, sembra aver smarrito il senso della fatica e del sudore. Niente corpi assediati da sforzi, niente fisicità proterve e minacciose, piuttosto anatomie segnate dal disincanto “fragile” del visibile e dall’humor assolutamente personale, secondo il quale, quanto più un’immagine si fa soggettiva e impetuosa, tanto può diventare oggettiva e vera.

Rosanna Ruscio

1 I.Calvino; Lezioni americane, Mondadori1993, p.118.

 

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