PAOLO BIELLI “Una lama nel cruore” Nicola Gentile
CRITICA - febbraio 24, 2011 - 0 Comments
Paolo Bielli ha un suo modo maliziosamente stridulo di elaborare una sorta di scabro spleen figurativo.
Agisce nel contesto di una iperrealtà ruvida, spazialmente vertiginosa, frullata, che ci riguarda e che tende a strozzare ogni spiraglio di Tempo, dimensione della Cura del Bello, antidoto alla preoccupazione che genera lo sfregio dell’ansia corrosiva.
Abbattuto ormai il tempo della Cura, concepisce composizioni esteticamente roche che tendono tendenziose ad un’aspra promozione oggettuale, protesa a profanare l’iride nell’ostica disposizione quasi litigiosa di schegge mute e spente, specchi opachi e torpidi senza fraseggio, senza cerimonia.
Sono apparizioni disadorne e scorbutiche senza nessuna traducibilità esteticamente estatica per un soggetto del desiderio che voglia stregarsi in abbagli e progettare le cose ad arte con incanto.
Vi serpeggia la beffarda ricercatezza di una plumbea seduzione dell’Inorganico, grinzoso di colori lasciati studiatamente collassare tra qualche spot di cruore e grasso pigmento, con parvenza persino di conserva lutulenta avvinacciata.
Si arriva fino alla tinta stigia di liquori cromatici che sembrano affettare la superba gloria infima del liquame, tartaro liquido di un divenire piagato di sanìe, mica la smagliante prodezza metamorfica del flusso gioiosamente colorito e corrusco.
E’ certo pertanto che lui compone in regime di arte appresa e messa da parte per rapprenderla poi – anesteticizzata – in gore al limite dell’incolore, dove sembrano stare in lepido ammollo indumenti amalgamati lì come per evocare tutto un teatro della crudeltà della svestizione griffata, frastagliata tra erratici polsini, tesi colletti di camicia e sinistra trasparenza corvina di lunghi guanti per moncherini che sembrano appena stati giustiziati delle mani dalla torva presenza di due coltelli.
Svestizione culminante poi nella rigurgitante facezia di mutande transennate dal fulmine di lame che non lasciano dubbi sul macabro sentore di castrazione lasciata languire dalla sadica flemma di una voluttà torpida da giardino dei supplizi .
L’inserto costante, nelle composizioni di Paolo Bielli, di lama intinta nel cruore o in torbe sinovie e polluzioni cromatiche e talvolta ridotta a solo manico di coltello la dice lunga sul tenero vezzo dell’amorevole sfregio che guida la sua mano irsuta di compositore iconico atonale.
Che dire poi di quei sardonici nimbi serpeggianti di frantumi metallici, tra bonaria bigiotteria ed ausiliarie borchiette che aureolano la gloria tutta minerale, atonale, delle sue collusioni oltrestetiche, postestetiche, tran-transestetiche ?
Paolo Bielli è davvero un compositore di disaccordi iconici in tredicesima, avvezzo al denudamento del mondo, che non si ferma alla solare utopia della sua florida carne ma si conficca nella sua nuda apparenza scheletrica atonale per perdersi nella fosca dolcezza del suo macabro sorriso.
Nicola Gentile