PAOLO BIELLI – Rosario Schibeci
CRITICA - maggio 20, 2023 - 0 Comments
PAOLO BIELLI DAL CONTRASTO ALL’ARMONIA: Intervista a uno dei più accreditati artisti romani che con la sua opera fatta di pittura, scultura e installazioni, ha conquistato la critica e il pubblico di gallerie e musei
30/09/2022
Un disegno fatto da bambino sul retro della copertina di un vecchio libro è stata quasi l’immagine profetica di quello che poi è stato il percorso artistico di Paolo Bielli, l’artista romano che con la sua opera è riuscito a conquistare il pubblico di gallerie e musei nazionali oltre alla partecipazione di successo alla 54° Biennale di Venezia. Un indiano con la sua ascia e una fata con la bacchetta magica hanno rappresentato così, sin dall’infanzia, i due concetti su cui si fonda l’arte di Bielli, una lotta per affermare l’artista mitigata sempre dalla dolcezza in un’ottica di rappresentazione sia del male che del bene che possono essere presenti in ogni elemento e in ogni circostanza. Un contrasto, rappresentato ad inizio carriera con l’uso di coltelli culminato poi nella idealizzazione del personaggio del pugile realizzata sia con la materia che con performance del suo corpo. Ma è l’armonia quella che sempre viene ricercata soprattutto oggi che l’artista sembra orientato su una sfera molto più spirituale. Per anni i coltelli sono stati protagonisti delle tue opere. Cosa è stato che ne ha fatto una fonte di ispirazione? La prima volta che ho usato un coltello nella mia arte è stato per trafiggere una immagine di una bellissima donna che pubblicizzava un profumo. Quasi per caso mi sono trovato così a volere in qualche modo intaccare quei canoni estetici che dagli inizi del 900 si sono andati sempre più ad accentuare interessando sia l’immagine femminile che maschile. Quindi con i coltelli andavo a trasfigurare quelle immagini considerate positive solo perché ancorate ad un certo concetto di bellezza imposto dalla società nel tentativo di trovarne una più naturale che può fare parte di ognuno di noi e non sempre è ancorata all’estetica. A un certo punto, poi, la tua arte si è focalizzata sulla rappresentazione di pugili. Come si è verificata questa inversione di tendenza? E’ stato come se il coltello prendesse vita e si trasformasse in un pugile, una sorta di evoluzione avvenuta dopo un certo periodo di crisi dove cercavo nuove ispirazioni. Infatti, dovendo fare una mostra, pensai a dei personaggi che lottavano e che urlavano quello che avevano dentro. Vennero fuori così delle immagini di lottatori che sembravano proprio pugili in cui mi sono immedesimato perché il mio essere artista, proprio come un pugile, lotta per affermarsi. Non a caso il pugilato viene considerato un’arte nobile perché è una lotta senza l’uso di armi. Fra le mie opere più eclatanti quella realizzata al museo M.A.A.M ricavato da un edificio che era stato mattatoio di maiali. Sulle piastrelle bianche ho immaginato le anime dei maiali trucidati trasformate in pugili rosa che si ribellano quasi come se le figure si fossero materializzate dagli schizzi di sangue arrivati sulle mattonelle. Oggi posso dire che il pugile si è molto addolcito perché si è sovrapposto proprio con l’artista. Infatti i miei lavori più recenti sono immagini scontornate di pugili che racchiudono altre forme d’arte. Ti senti più un pittore astratto o figurativo? Ho cominciato con rappresentazioni astratte poi l’elemento figurativo finiva sempre per materializzarsi. Ho avuto periodi diversi però alla fine il figurativo ha finito per prevalere anche se, attualmente, unisco i due stili attraverso l’arte digitale, la scultura, il collage, la pittura. E poi c’è tutto l’universo delle installazioni in cui, anche attraverso il mio corpo, esprimo dei concetti in modo semplice. Per me installazione significa dare vita ad un quadro ovvero animare un’immagine che potrebbe essere statica, cercando di stimolare diverse percezioni da parte del pubblico. Infatti, apprezzo quando il pubblico riesce a vedere nelle mie opere qualcosa che era nel mio inconscio pur non avendoci pensato. Di installazioni ne hai fatte veramente molte e tutte di successo. Quale è la performance a cui ti senti più legato? Difficile a dire considerato che ogni installazione rappresenta qualcosa di me stesso. Però quella a cui rimango più legato è “Sapone” fatta nel 2005 alla galleria Monserratoarte900 a cura di Vincenzo Mazzarella. Una performance in cui denudandomi completamente, mi avvelenavo cospargendomi di una enorme quantità di diversi profumi commerciali. Un’idea che mi è valsa importanti critiche e riconoscimenti anche se il rovescio della medaglia è stato il fatto che il progetto è stato copiato e presentato da altri come proprio. Un rischio che, purtroppo, l’anima onesta di un artista deve sempre correre. Nelle tue opere spesso il presente interagisce con il passato. Da parte tua è forse il desiderio di rappresentare con la tua arte una certa continuità? Passato e presente possono essere molto simili. Infatti, alla fine, ci troviamo ad affrontare sempre gli stessi problemi per cui guardare alle soluzioni o agli sbagli del passato, ci può aiutare a migliorare il presente. Il passato affiora sempre, per questo tendo a rappresentarlo in qualche modo nelle mie opere magari con particolari o attraverso uno scenario. Credo sia molto importante non dimenticare quello che è successo nel passato per vivere meglio presente e futuro. Di recente hai fatto parte di “Niobe Vanity Dark Queen” lo spettacolo di successo deI regista Stefano Napoli. Ci vuoi parlare della tua esperienza di attore della Compagnia “Colori proibiti”? Assecondando la mia voglia di sperimentare sempre, mi proposi al regista Stefano Napoli per recitare in un suo spettacolo pensando che sarebbe stata un’esperienza unica quasi come una sfida per mettermi alla prova. Invece il ruolo di attore mi ha appassionato sempre di più soprattutto perché il teatro mi ha permesso di rivelare cose nascoste che avevo dentro e che fanno comunque parte del mio essere artista. Ho ripreso con “Niobe” a recitare dopo che avevo collaborato dal 2000 al 2007 con Stefano Napoli e la sua Compagnia “Colori proibiti”. Anche se il lavoro a volte può apparire faticoso, considerato che il regista è molto perfezionista, ci sono sempre mille emozioni che ripagano per tutti gli sforzi che si mettono in campo. C’è da dire che, anche se prendo ciascun ruolo sempre molto sul serio, riesco anche a divertirmi. E poi il teatro di Napoli ti trafigge e ti addolcisce quindi mi somiglia. Rosario Schibeci